Mantova: Senza lavoro finiscono in strada, coppia costretta a vivere senz’acqua e luce

Una storia che, a raccontarla, è da sola un appello. Un appello fatto da due persone che le stanno provando tutte per dare una svolta alle loro vite, flagellate da una serie di avversità che nonostante tutto non li ha fiaccati, non gli ha fatto perdere la voglia di andare avanti. Senza un aiuto concreto però, senza un tetto sotto il quale dormire ed un lavoro che permetta ad entrambi di ricominciare, lottare è sempre più difficile. È per questo che Giovanni e Claudia, nomi di fantasia che utilizzeremo a protezione della loro privacy, omettendo anche le località dove si svolge la storia, hanno deciso con grande dignità di raccontarsi. Di narrare le loro vite, che si sono incrociate nel luglio 2015 quando tramite amicizie comuni hanno iniziato a frequentarsi. Ad accomunarli ed a permettergli di farsi forza l’un l’altra è stata la consapevolezza di sapere quanto può essere dura la vita: dall’improvvisa perdita del lavoro ai conflitti familiari fino al ritrovarsi per strada, senza una casa, a dormire stretti in una mini-car per un intero inverno. Ora che gli è stato sequestrato dai carabinieri per l’assicurazione scaduta non c’è più nemmeno quel piccolo tetto di lamiera a proteggerli. Ma la bontà di alcune persone che, oltre a offrirgli una doccia calda e qualche passaggio in auto, gli hanno trovato una cascina che, seppur priva di acqua ed elettricità, funga da sistemazione provvisoria. «Le mie difficoltà sono iniziate nel 2014, quando l’azienda chimica per cui lavoravo ha chiuso – racconta Giovanni, 43 anni -. Senza un sostegno economico mi sono ritrovato senza sapere cosa fare. La famiglia non poteva essermi d’aiuto. Mio fratello percepisce una pensione minima da invalido, mio padre è anche lui pensionato e, nonostante tra noi ci sia un rapporto conflittuale, mi ha aiutato come ha potuto. Mi sono rivolto al Comune, ma la risposta è stata che senza una busta paga ed un lavoro fisso non potevano aiutarmi. La Caritas locale mi ha dato cibo e vestiti, però sono aiuti provvisori. Come se non bastasse nel 2015 sono stato operato di un tumore alla pelle. È stato un brutto momento: se non avessi conosciuto Claudia non so come sarebbe andata. Confesso che il pensiero di farla finita mi è venuto».

Non differisce di molto il racconto di Claudia, 44 anni, originaria di un paese vicino. «Per 25 anni ho condotto col mio ex marito un’azienda artigiana che si occupava di fabbricare rubinetti del gas – spiega -, poi mi sono separata, lui ha trovato una nuova compagna e mi ha messo fuori casa. Mi sono rivolta all’amministrazione del mio Comune ed ai servizi sociali ma ho ottenuto le solite risposte: se non hai un lavoro niente da fare. Ho girato uffici di collocamento e agenzie invano: mi sono sempre sentita dire che la crisi e la mia età avanzata rendevano difficile la ricerca». È così che Claudia e Giovanni si ritrovano a dormire in una mini-car prestata loro da un amico. «Nelle notti più rigide abbiamo dormito nei bagni dell’ospedale, ma ad un certo punto il direttore ci ha detto che non potevamo più starci. Poi, alla terza volta che i carabinieri ci hanno fermato con la macchina, non hanno più potuto chiudere un occhio: l’assicurazione era scaduta e ce l’hanno ritirata. Ci siamo davvero ritrovati senza nulla». E nel maggio 2016 un’altra dura prova: Claudia scopre di essere incinta: «L’assistente sociale mi ha risposto che non potevano farci niente, l’unica soluzione secondo loro era quella di abortire. E nella situazione in cui eravamo non abbiamo avuto scelta». Ora Claudia e Giovanni tirano avanti come possono, con qualche lavoretto saltuario, l’aiuto dell’associazione Nazareth di Raffaella Crisci e di un gruppo di preghiera di Piubega, che gli ha trovato una sistemazione di fortuna. Ma loro vogliono imparare a camminare sulle loro gambe. «Alcune persone ci aiutano con grande generosità ma non possiamo sempre chiedere agli altri. Vogliamo un sostegno concreto dalle istituzioni, che ci permetta di ripartire. Non possiamo – concludono i due – e non vogliamo credere che non possano proprio fare niente».

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